IL VERME E IL RAGNO. installazione, video, performance, convivio. ChorAsis lo spazio della visione. Villa Rospigliosi, Prato

Il verme e il ragno è la mostra personale di Andrea d’Amore che ruota attorno alle potenzialità di trasformazione della materia visiva e culinaria attraverso un processo di ricerca e prassi incline al ribaltamento di dinamiche sociali consolidate e alla creazione di momenti conviviali. Il progetto espositivo, che riunisce opere degli ultimi quattro anni e nuove produzioni site-specific, è dislocato in tre ambienti differenti.

Nella prima stanza di Villa Aldobrandini Banchieri Rospigliosi l’artista costruisce Pania, una opera- trappola visiva ed esperienziale composta da dispensatori di cibo e un vibratore che fa risuonare dei campanacci, richiamo per le prede. Un albero di limoni ricorda gli apparati mimetici costruiti per gli appostamenti di caccia agli uccelli. La proprietà della villa infatti comprende un bosco che si estende alle spalle delle sale espositive e che storicamente veniva utilizzato per l’uccellagione: una pratica oggi illegale in Italia che impiegava dispositivi fissi detti “uccellande” per la cattura indiscriminata della selvaggina volatile. La caccia presuppone uno stato predatorio che raramente contempla la possibilità di divenire contemporaneamente preda durante una cattura. L’artista invi- ta il visitatore a chiedersi chi lo stia osservando e se sia soggetto attivo oppure oggetto predato. Questo ipotizzabile ribaltamento di prospettiva induce d’Amore ad adottare una postura incline alla metamorfosi e all’immedesimazione con i corpi di altri esseri viventi quale attitudine privilegia- ta nella relazione con l’Altro. Il dipinto Olio su carta restituisce l’iconografia del carro che nei tarocchi allude all’azione e al guerriero o a colui che tiene tra le mani le redini del proprio agire. I due cavalli — energie complementari rappresentanti la dimensione maschile e femminile che qui realizzano l’unità — trainano il carro in direzioni opposte, producendo tuttavia sempre e comunque un avanzamento. Tappeto è un enigma e un rimando al video della sala successiva dove compare quale oggetto senza nome e funzione, puntato e predato dall’artista in quanto groviglio da dispiegare: aperto, trasformato, diviene carne, ossa e sangue, martoriato con utensili, rimane tuttavia immobile e im- mutabile, oggetto in quanto tale. Nella sala è appeso come un trofeo piegato e incatenato. Ritorna a essere un nodo da svolgere, un’attrazione per qualcosa di ineffabile, un’ulteriore esca o via di fuga.

La seconda sala è dedicata alla solvenza, ovvero lo scioglimento della sostanza incrostatasi nel tempo che rappresenta l!elaborazione psicologica di un passato cristallizzato: l!intenzione è dimenticare quanto appreso nel corso della vita. Questa disposizione a disimparare è utilizzata e verificata nel video Un mondo senza nome in cui l’artista si immedesima in un individuo che si sveglia in un mondo di cui è il primo abitante umano, ma dove esistono già tutti gli oggetti creati dalla storia dell’uomo. Gli utensili e il resto del mondo tuttavia non hanno ancora un nome. Nel video, compie azioni simboliche intorno ai temi della cura, della penetrazione, del panico e del piacere. È il caso dell’azione predatoria realizzata da un capanno per la caccia e da dove progetta l’attacco a un pollaio per finire infine ad abbattere il capanno stesso. Rappresenta lo sforzo di cambiare prospettiva e trovare una convivenza tra animale e umano nel medesimo spazio.

I simboli invocati da d’Amore sono propedeutici all’ultimo capitolo della festa, ovvero alla riorganizzazione di un’identità mutata e in perenne divenire. L’artista presenta una tavola imbandita e apparecchiata con piatti di terracotta modellati sul calco del proprio volto. Le pietanze sono cuci- nate in nove pentole di terracotta prodotte per la mostra e che rappresentano — insieme ai coperchi a basso rilievo dipinti con scene tratte dalla storia dell!arte e dalla mitologia — i nodi relazionali di conflitto e i rapporti di discendenza familiare. La dimensione del convivium è intesa quale dispositivo per la creazione di relazioni intorno alla preparazione e al consumo di cibo. È un ecosistema affettivo nel quale ogni componente, umano e non umano, ha un ruolo relazionale nella costruzione dell’atmosfera che si condivide. 


L’attitudine trasformativa e performativa del progetto mette in scena la trasmutazione dell’organico e la metamorfosi dell’umano, indagini sulla costruzione della relazione dell!identità (ego) e dell’alterità (mondo). Il processo permette di accedere a un tempo prossimo al sapore sensibile e in divenire piuttosto che a un sapere prettamente razionale e stabile, vale a dire a simbologie al confine dell’ambiguo e a travestimenti di senso.

Matteo Binci